A cura della Dott.ssa Silvia Gotti Psicologa – Psicoterapeuta
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Il Coronavirus ha cambiato le vite di tutti noi e tra i tanti cambiamenti, sicuramente l’isolamento è quello che più stiamo vivendo. I governi hanno isolato i propri Stati chiudendo i confini, limitando gli scambi tra ciò che è dentro e ciò che è fuori. “Restate a casa” (dentro) ci dicono, per proteggervi dall’epidemia, dal contagio (fuori). Dentro si, fuori no.
Le case si sono riempite, sono diventate un dentro sicuro, protettivo, ma soprattutto concesso, l’unica scelta possibile. Non esiste più un fuori, il fuori è negli schermi delle tv, dei pc, degli smart phone. Al massimo si può spiare da un balcone, dal finestrino dell’automobile di chi ancora va a lavoro o a fare la spesa. Si perché spesso non si va a lavoro, il lavoro è a casa, non si fa la spesa, la spesa bussa alla porta.
Se fuori i confini sono rigidi: frontiere chiuse, mascherine, distanza di sicurezza e tutto è ben distinto da noi; dentro i confini non esistono più: lavoro, figli, scuola, chiacchiere con gli amici, palestra, biblioteca, cinema, ristorante, tutto è dentro in un unico spazio, in un unico tempo.
Il lavoro diventa smart working, la scuola diventa una piattaforma online, gli scambi con il fuori avvengono attraverso uno schermo, gli scambi con il dentro sono un sempre senza fine. Gli spazi personali si annullano, diventano di tutti, si entra e si esce continuamente in questo spazio, senza chiedere permesso.
Lo spazio è dei genitori o dei fratelli anche quando un adolescente cerca di parlare o videochiamare con il proprio amico/a, lo spazio è dei figli quando i genitori sono in riunione con i colleghi nel salotto di casa o cercano di concentrarsi alla scrivania tra urla e pianti. Lo spazio è della scuola, una scuola che entra nelle case e costringe non solo i genitori a svolgere funzioni che non gli competono, ma occupa ulteriormente quello stesso spazio già saturo, che una volta era privato, della famiglia.
Anche il lavoro riempie lo spazio e il tempo, non si esce più da lavoro e quindi il lavoro è sempre, il tempo di separazione si allunga perché fisicamente il luogo è lo stesso e la mente fatica a mettere un limite quando il corpo non lo fa.
In questo scenario, le coppie spesso restano coppie, non si esce dai litigi, dalle incomprensioni, il compagno e la compagna sono ovunque, non c’è l’incontro con l’altro cercato perché l’altro è sempre lì, anche quando non lo si vorrebbe.
Insomma dentro tutto è di tutti e l’individualità si perde a favore di una fusionalità forzata, obbligata.
Quindi come differenziarsi e ritrovare se stessi in questo tutto condiviso? Non è facile, ma qualcosa si può fare per costruire confini temporali e spaziali. E’ importante creare una routine giornaliera che possa ristabilire i tempi del fare e delle relazioni (per es. sveglia alle 8,00, colazione, doccia, scuola/lavoro, pranzo…. Con orari stabiliti) in modo da poter distinguere i momenti, dando senso allo scorrere delle ore e mettendo un limite, una fine alle singole attività.
E’ possibile stabilire una regola per il rispetto degli spazi concedendo ad esempio ad un adolescente di occupare una stanza per un tempo ben definito, cosicché possa parlare con gli amici da solo, senza interruzioni o intrusioni inopportune. Questo può significare riconoscere un bisogno di privacy e di autonomia.
Lasciare, quindi, che ogni membro della famiglia possa usufruire di uno spazio personale diventa, fondamentale per il benessere di ognuno, attraverso il rispetto di questo spazio possiamo sentirci compresi e riconosciuti. Questo permetterà di distendere almeno un po’ le tensioni che in questo momento tutti stiamo vivendo amplificate, ma soprattutto di ritrovare le proprie parti di sé all’interno di un tutto non differenziato.
Una sola regola però: non sconfinare! Almeno finché l’altro non ci permette di entrare! Perché è vero che siamo tutti dentro, ma anche dentro esiste un IO e un TU.